«Se un giorno qualcuno di noi avrà tempo e voglia, raccoglierà in un quaderno tutte le definizioni del sostantivo libertà. Cercando di dare forma visiva alla parola. Che non si sa neppure se sia un semplice sostantivo, oppure un termine, una definizione, un concetto, una utopia, un modo di essere. Declinato, illustrato, oggettivato in voci e suoni. Libertà vo cercando che è si cara? Vecchia canzone di Lauzi che ne dice evviva? Parola giustamente anteposta a fraternità ed eguaglianza? Libertà di farsi decapitare in piazza? Libertà di violenza? Libertà di dubitare, di dissentire, di tacere persino? Ma anzitutto libertà di parlare, di potersi esprimere, di saper dire pane al pane e vino al vino. Libertà non solo di certificare, di omologare, di confermare. Libertà anche di definire e ridefinire. Di attribuire. Libertà di poter dire pane al pane e pirla ai pirla. Quale maggiore soddisfazione? Libertà di poterlo dire a quelli che. «Quelli che» era il titolo di una canzone filastrocca di Enzo Jannacci. Dopo un certo numero di strofe concludeva da bluesman con oh yes.
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Quelli che: il cane sporca sul marciapiede perché, poverino, è una bestia, quelli che l’auto è mia e la parcheggio dove dico io, quelli che sui muri ci scrivo per certificare la mia inesistenza, quelli che se non lo faccio io tanto lo farà un altro, quelli che il cellulare è fatto per far sapere agli altri quanto sono figo, quelli che i bambini bisogna lasciarli liberi di rompere i coglioni, quelli che la musica va ascoltata oltre i decibel concessi, quelli che si vantano di aver sdoganato i peti in televisione, quelli che si smutandano per poco, quelli che la storia siamo noi, nessuno si senta offeso. Quelli che la storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Quelli che se non lo fanno gli altri lo faccio io. Quelli che, quelli che, quelli. Quelli che non sanno di essere quelli che. Quelli che lo sanno e ne vanno orgogliosi. Quelli che non lo sanno, vorrebbero esserlo e vivono di conseguenza. Quelli che lo sono, non sanno di esserlo e se ne vantano. Come se lo fossero. Quelli che nell’attesa di esserlo se la tirano. Quelli che non sapendo chi, come, cosa essere se la tirano. Quelli che in ogni caso se la tirano. E, credetemi, sono i “quelli che” peggiori. Un giorno alcuni allievi chiesero ad Albert Einstein quale fosse la differenza tra il genio e la stupidità. Par di vederlo, mentre si gratta i capelli davanti alla solita lavagna zeppa di formule, esitando un poco prima di rispondere “Well… genius has his limits”.»
Giancarlo Iliprandi, Disimpegno, Edizioni Corraini , 2006.