Uno dei temi ricorrenti riguarda gli stili. Un altro l’infinito.
Ma ci sono state occasioni di dibattito
attorno ad argomenti molto più pratici. Le varietà
di pompelmo, la misura ideale degli sgombri in scatola,
le occasioni per viaggiare in camper. Poi le zecche, gli
scorpioni, le vipere. Poi le datazioni, la contestualizzazione,
l’avvicina-mento per approssimazione.
E la attribuzione per presunzione.
L’infinito è solo il luogo dove si incontrano le parallele?
Chiede uno. E un altro subito asserisce che l’infinito
non esiste. Ma no, forse esiste per noi solo quello che
riusciamo a misurare, ad inserire tra una convenzione e
una procedura.
L’infinito è là dove comincia l’ignoto? Ma se non ci fosse
il finito come potremmo parlare di infinito, che è ben
diverso dal non finito. A questo punto pare doveroso
citare Leopardi, qualcuno ricorda l’incipit della poesia.
Poi eccoci in viaggio, con 2001 Odissea nello spazio.
Eccoci approdati al mito di Ulisse. Eccoci fermi davanti
alle nostre colonne d’Ercole, ai limiti che non crediamo
più di avere. L’infinito è là dove vorremmo essere.
Poi leggeremo che il futuro dell’universo è espansione
all’infinito. Espansione accelerata. Perché, oltre all’invisibile
materia oscura, vi è una energia del vuoto che si
oppone alla gravità. La scienza ci restituisce un’immagine
del cosmo abbastanza fiabesca. L’infinito è laggiù.
Un inevitabile ermafrodita
A proposito del cosiddetto Carnet de voyage
Pagine 48. Formato 12×16 a un colore.
Milano luglio 2013